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Ca’ Food: cronache di guerra; il pane con la tessera a San Piero

17 Agosto 2019 Guide Idee e Attualità Senza categoria Stroncature


Premesso (doverosamente) che non sono aduso alla frequentazione di sagre, ho voluto cimentarmi, per una volta, col tanto decantato mondo dello street food; in particolare mi sono immerso nella sua versione sampietrina, il Ca’ Food.

Tale iniziativa si proponeva un obiettivo ambizioso: “comunicare il patrimonio culturale raccontandolo tramite i prodotti del territorio, il lavoro e la fantasia dei protagonisti dell’evento“; la realtà da me percepita (e da parecchi altri, a dire il vero) è stata decisamente diversa. Mi sono letteralmente sentito, sin dall’arrivo, come un profugo o uno sfollato trascinato in un centro di prima accoglienza (e, visto che di mestiere faccio il mediatore interculturale, qualcosina credo di saperla in tal senso), ma anche un po’ come un pollo da spennare a dirla proprio tutta.

Arriviamo all’altezza del campo sportivo, parcheggiamo e saliamo (a pagamento naturalmente) su una navetta stipata all’inverosimile che ci accompagna per qualche metro (per fortuna) fino al rifornimento; superati i mezzi pesanti posti in strada a seguito delle nuove normative antiterrorismo, ad accoglierci è un arco con l’insegna dell’evento e dei palloncini bianchi e poi la cassa, primo dei 18 baracchini. Prendiamo i “Token” (5 token 10 euro, quindi 2 euro a token o 2,50 euro direttamente negli stand), un assaggio per token, bene! Primo stand, prima interminabile fila per chi ha la pazienza ed il coraggio di cimentarcisi per recuperare con un token un “caddozzo” di salsiccia fine (non condita) di pochi grammi con una pennellata di cipolle in agrodolce (senza pane), inserita in uno spiedo di legno (non so invero quanto consono alla sicurezza, visto che le salsicce le buca hehe), birre e bibite varie nei bicchieri di plastica (perché il vetro è pericoloso eh, c’è l’ordinanza! Così puoi girare tranquillamente col tuo spiedo di legno appuntito e il tuo bel bicchiere di plastica che andrà a far tracimare i pochi bidoni dei rifiuti). Altri stand, altri token, altre interminabili file… da buon profugo, oramai affamato, decido di sperimentare una di queste file, la più ardua, quella con tanto di puzza di formaggio fuso, per recuperare, col mio token, una fettina di pane bruciacchiato con sopra una spatolata di provala fusa (circa un’ora e mezza); per farla proprio completa, dopo aver raggiunto la tanto agognata meta, sarei stato tentato di prendere anche una bella pannocchia grigliata, ma che fare? Utilizzare un altro token da 2 euro o comprarla a 2,50 euro? Pensando a quelli che sono realmente costretti a fare la fila per un pezzo di pane o una pannocchia, mi si è stretto il cuore e pure lo stomaco, niente pannocchia! Alla mia sinistra c’era una fila ancor più imponente per un arancino con agrumi e gamberetti… mi sono sentito ancor più ridicolo. Altri botteghini fornivano assaggi di braciole (5 per spiedino), gelatini artigianali stile Magnum, focaccine schiacciate e piegate, crocchette di patate, pezzettini di formaggio col miele etc., tutti in formato rigorosamente mignon ma con imponenti file per accaparrarseli.  Mi è balenata poi all’improvviso – ma non casualmente, visto il contesto simil emergenziale –  una domanda: e se avessi bisogno di usufruire del bagno? Non vedo predisposto alcun bagno pubblico, neanche uno di quei WC chimici portatili (sarò io a non averli visti?). Chiedo un po’ in giro, vedo un uomo in divisa, appartenente ad un’associazione denominata Operatori Europei di Polizia; mi dice che sono in 5 e vengono da Catania e, non avendo trovato altro, hanno usufruito tutti e cinque di un attrezzo che hanno portato da Catania e che a Catania stava per rientrare. Incontro poi un gentile vigile urbano, il quale mi dice che posso usufruire dei bagni dei bar o che, in mancanza, avrei potuto recarmi al comando dei vigili e lì mi avrebbero dato accesso al bagno. Faccio un giro dei tre ber presenti in loco, due sono casualmente “guasti“, però le birre le vendono e come, uno, il Bar Pagliazzo, è funzionante (Alleluia! Onore al merito!), con un po’ di fila si può fare. I volti delle persone che mi stavano intorno non erano propriamente quelli della festa, piuttosto annoiati, confusi, rinchiusi in un “divertimento” costruito (male) a tavolino; non fosse stato per la musica di qualche artista di strada o di qualche dj, lo scenario sarebbe stato in tutto simile a quello di un campo profughi. Non aiutavano la scarsissima organizzazione dell’evento né le cassette dei pomodori, né i sedili in paglia o  botti e barili a mo’ di tavoli sparsi qua e là; sulle lingue d’asfalto fanno un effetto diverso da quello dei campi. Non aiutavano nemmeno le magliette colorate dei tanti volontari (nessuno di quei “token” andrà nelle loro tasche) che hanno cercato di tener testa al grande (e probabilmente imprevisto) afflusso di gente; anche perché, sinceramente, vedere tanti volontari, che poi sarebbero gli stessi ragazzi che, per poter lavorare veramente, devono andare via dal proprio paese e tornarvi solo in estate (impegnandosi a fare i volontari per chi si riempie le saccocce speculando su tali eventi), mette parecchia tristezza. Un giro per le bellissime ed illuminate vie della graziosa San Piero e via di nuovo verso il rifornimento, stipati ancora, giù di corsa al campo sportivo. A Patti, nel frattempo, ci sono un altro paio di iniziative, così come in altri paesi circonvicini! Anche qui uno spunto di riflessione fuori dal coro; cosa fa il Consorzio Intercomunale Tindari-Nebrodi se non è capace nemmeno di coordinare le varie iniziative stive? Solo uno stipendificio!

Non me ne vogliano gli amici sampietrini, ho colto l’occasione del Ca’ Food un po’ a caso, perché, in fondo, tutte le iniziative (musicali, di intrattenimento o alimentari che siano), nel nostro territorio hanno quasi tutte le medesime caratteristiche (Così Indiegeno, Mishmash,  Notte dei desideri etc. etc.); avevo semplicemente in cuore di far rilevare certe cose; come certe iniziative che all’apparenza sembrerebbero meritorie, non portino nulla ad un territorio che meriterebbe molto più che far arricchire un giorno l’anno i soliti 3 o 4 “imprenditori” a discapito dell’ambiente, della cultura e del lavoro di intere comunità. So di essere impopolare, specialmente in un paese, come quello di Patti, che erige monumenti al primo che arriva e fa soldi sfruttando il territorio 🙂 Capisco che c’è chi pensa “divertimento pur che sia”, che preferisce non pensare a certe cose e si sentirà particolarmente punto, così come particolarmente punti si sentiranno i tanti volontari che, con spirito di devozione, comunità e sacrificio, si tuffano in simili iniziative, pazienza, il mondo è bello perché vari. Ma mi sta bene così, come sempre non amo particolarmente gli applausi. Non è così che si mantengono vive le comunità, non è così che si rispetta l’ambiente etc. Esperienza che, naturalmente, non ripeterò più e che sconsiglio decisamente. Naturalmente non ho la formula esatta, altrimenti l’avrei proposta, ed è anche vero che solo chi non fa non sbaglia, ma ripeto, le mie sono solo riflessioni; magari in futuro le cose andranno diversamente (sempre se un futuro ci sarà ancora, data la corsa verso l’enstinzione che tutti noi stiamo facendo in sordina).

 

 

 

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