On Air

Puntata VII

Home

Tindari – Cronache del teatro dal 1956 di Filippo Nasca

5 Maggio 2015 Articoli per SenzaPatti Libri Teatro


Come alcuni lettori sapranno, amo visceralmente il teatro e, a modo mio, anche Patti e, soprattutto, Tindari. Questi ed altri ingredienti a me molto cari mi hanno spinto ad intraprendere un’accanita lettura del testo (conclusasi con l’aver divorato le 283 pagine che lo compongono in meno di quattro ore) oggetto del presente articolo; “Tindari – Cronache del teatro dal 1956”. Scritto da Filippo Nasca nel 2009, ma di cui solo da qualche tempo ho avuto la fortuna di venire a conoscenza e, da ancor meno tempo, quella ancor più grande di averlo fra le mani. Un testo che definirei imperdibile per gli appassionati di teatro (e non solo) e imprescindibile per chi voglia intraprendere studi e approfondimenti sull’attività del Teatro Greco di Tindari da mezzo secolo a queste parte; cioè – come ricorda l’autore – dal 1956, anno della riapertura – dopo secoli di oblio, che Nasca poeticamente definisce “secoli di inquieto silenzio” – del sito alle scene con l’Aiace di Sofocle.
Con eguale fervore mi sono poi subito dedicato a condividere con voi gioie, riflessioni, considerazioni e idee che queste preziose cronache ed il loro autore suscitano (almeno in me).
Nasca avverte immediatamente il lettore di “non essere uno storico” e, pertanto, precisa: “e degli storici di professione non ho né il rigore né il metodo”; tuttavia il suo lavoro risulta, se possibile, più prezioso di una asettica ricerca storica condotta con tutti i crismi scientifici, sia per la paziente, certosina, ricerca fra i materiali d’archivio –alcuni salvati dallo stesso da sicura scomparsa – e dunque di fonti di prima mano, sia per le testimonianze raccolte, sia perché egli stesso è stato protagonista di primo piano di una parte delle vicende narrate (1995 – 2000) e, soprattutto per la passione che da ogni singola pagina traspira e tracima in un racconto, anno per anno – mantenendosi fedele al titolo; anche quando, in determinati anni, non c’è purtroppo nulla da narrare – in cui, oltre alle numerose testimonianze fotografiche (galleria di assoluto valore), alle puntuali citazioni di articoli di stampa, ai resoconti e alla ricostruzione storica, artistica e politica, anche gli spazi bianchi hanno un senso ben definito, che è quello della precarietà con la quale Tindari ha fatto i conti da quel pur glorioso e “folle” Aiace portato in scena da Michele Stilo nel 1956.
Nasca, come giustamente nota l’ottimo estensore della prefazione (il noto regista e drammaturgo Paolo Gazzara), è affetto dal “male del teatro che – prosegue Gazzara – contagia: non tutti, s’intende, ma soltanto chi vi è in qualche modo predisposto”; è per questo che, pur nelle descrizioni più distaccate e nelle ricostruzioni più ortodosse delle vicende di quegli anni, cogliamo da alcuni semplici aggettivi, la gaiezza del racconto, ad esempio, dell’impresa di Michele Stilo e degli altri giovani (barcellonesi e pattesi insieme) che ha reso possibili gli altri 50 anni di “cronache” tindaritane.
Scoprirete solo leggendo il libro quale sia l’idea di teatro, di un teatro, di un teatro greco e, finalmente, di quello di Tindari che hanno Gazzara prima e Nasca poi; la mia – molto più modesta sotto tutti gli aspetti – è che il teatro sia innanzi tutto la forma d’arte, di comunicazione, di socializzazione e di confronto più complessa ma al contempo più affascinante ed efficace che l’umanità abbia saputo realizzare. Un insieme di persone diversissime fra loro che però condividono scientemente un codice, “una grammatica universale innata”, insita in questi individui, per dirla alla Chomshy, decisamente più evoluta del semplice linguaggio verbale, di quello scritto e quello non verbale: una comunicazione non lineare che, stravolgendo qualsivoglia schema logico, non ha alcun mittente, messaggio e ricevente prestabiliti. Se a prima vista queste caratteristiche (o alcune di esse), rapidamente elencate, possono sembrare simili a quelle della semplice comunicazione diretta – e certamente vi si possono trovare – la distinzione netta è insita nella natura stessa (nel DNA potremmo dire) di questo codice; se lo sezioniamo, ci accorgiamo che la materia prima di cui è composto è l’inganno e che le uniche costanti sono tutte “disturbi della comunicazione”, “rumori”, “interferenze”. Paradossalmente tali caratteristiche fanno sì che questa particolare forma di comunicazione sia la più genuina e – per coloro che ne posseggano l’alfabeto – la più chiara. Se la “verità” non esiste (almeno nella sua forma assoluta) e se i disturbi della comunicazione sono sempre presenti, il linguaggio teatrale gioca a carte scoperte; ti fa capire di “mentire” anche quando ti assicura di dire “tutta la verità”, prova a distrarti con mille rumori e musiche e tonalità e maschere e costumi e paesaggi e tempi e spazi, ti parla sempre con linguaggio poetico, per allegorie, per metafore. Tutto questo è ulteriormente complicato dal fatto che il messaggio sia portato e filtrato da più individui, dallo scrittore, dal regista, dagli attori, dalla compagnia intera, dai critici e dal pubblico stesso. Eppure quante volte usciamo dal teatro soddisfatti e convinti di aver recepito il messaggio che dovevamo recepire, quante volte i teatri sono stati presi di mira dal potere e quante volte il teatro è stato veicolo prediletto per ribellarsi, per formare ed educare! Da questi miei sproloqui è facile intuire quanto siano per me, nel contesto teatrale, più importi le persone dei testi ed è proprio delle persone e di chi ha dato vita al teatro di Tindari in questi ormai quasi 60 anni che Filippo Nasca narra ed è questo aspetto che mi piace approfondire nei miei modesti resoconti degli spettacoli degli ultimi anni a Patti.
Troverete le storie delle persone che hanno fatto grande Tindari, non solo attori e registi, ma anche amministratori, uomini politici, cittadini appassionati che, tutti in coro, hanno contribuito in qualche modo a scrivere la storia di questa nostra perla di pietre, terra e mare e… tutta la forza delle cose che vi ho appena descritto, la forza che viene dalle persone, da queste precise persone.
Parecchie di queste persone ricordate dal nostro autore le conosco solo per fama (per ragioni anagrafiche), altre nemmeno per quella (per le stesse ragioni), molte le ho potute vedere all’opera e alcune le ho conosciute e intervistate, con alcune ci ho persino lavorato, ma tutte appartengono ad una storia che sento anche mia, che è nostra, che è quella dei nostri padri e dei nostri nonni, quella delle alterne fortune del nostro paese, una infinitesima parte della nostra (e solo nostra) “cosmogonia”. E poi Nasca ci descrive egregiamente anche gli insiemi di persone, anche quelli contrapposti (più o meno apertamente) come quello del comitato (prevalentemente membri dell’Azione Cattolica) – Ente Culturale Tindari – capeggiato da Michele Stilo e con, fra i membri, Nicola Adamo, Salvatore Alioto, Domenico Scaffidi, Giuseppe Rivolo e Alfio Noto e la Pro Loco di Patti appoggiata dall’amministrazione guidata da Titta Sciacca, o ancora i simpatici aneddoti sulle dispute serrate fra lo stesso Stilo e l’allora soprintendente architetto Bernabò Brea.
Ampio spazio è poi dedicato agli allora emergenti e giovanissimi Paolo Gazzara e Vittorio Sindoni, ma anche a Lisi Natoli (viene ricordato il teatro tenda “Spazio Zero”), a Melo Freni (prima giovanissimo cronista e poi drammaturgo) ed a Beniamino Joppolo, rappresentato in alcune circostanze ed in uno speciale per i 40 anni dalla scomparsa per la regia di un giovanissimo Stefano Molica.
Altri personaggi fondamentali (pur non essendo attori e registi) trattati sono il già citato Mimmo Scaffidi – visto come “deus ex machina” – ed il compianto Pasquale Cocivera (delle cui straordinarie doti gestionali e umane mi onoro di essere stato testimone diretto) che, col professor Filippo Amoroso, ha fondato il Teatro dei Due Mari.
Si fa ampio riferimenti anche ai tanti grandi registi che hanno prestato la loro opera a Tindari, quali, a titolo d’esempio, Giorgio Strehler (che curò la regia di Arlecchino servitore di due padroni di Goldoni nel 75), Andrea Camilleri (“U Ciclopu” nel 69 e “Glaucu” nel 70), Michele Placido (nella doppia veste di attore e regista), Ninni Bruschetta, Mariano Rigillo (doppia veste anche per lui) e Walter Manfrè (anch’egli entrato nella storia del teatro tindaritano in doppia veste).
La parte più corposa tuttavia e naturalmente riguarda gli attori e qui mi limiterò ad elencare i principali e fra essi coloro che hanno preso parte, negli anni, a due o più rappresentazioni, con l’eccezione di Vanessa Readgrave per la rilevanza internazionale. Sono dunque citati (da me in ordine sparso ma nel libro in maniera sistematica) Andrea Bosic (protagonista del celebre Aiace del 59 e poi in numerose altre rappresentazioni nel corso degli decenni), Alberto Lupo, Turi Ferro, Tuccio Musumeci (fra i più assidui), Massimo Mollica (per qualche decennio mattatore assoluto di Tindari), Leo Gullotta, Walter Manfrè (già ricordato), Lilla Brignone, Arnoldo Foà, Sandra Mondaini, Maria Sciacca (nostra illustre concittadina prematuramente scomparsa), Lauretta Masiero, Mariano Rigillo (anch’egli fra i più assidui e sotto la cui regia ho avuto l’onore di lavorare), Lydia Alfonsi, Carlo Bosco, Ivano Staccioli, Vittorio Sanipoli, Michele Mirabella, Ferruccio Soleri, Massimo Dapporto, Enrico Maria Salerno, Anna Marchesini, Michele Placido, Giuseppe Pambieri (assiduo), Edoardo Siravo (di casa a Tindari), Maddalena Crippa, Pino Michienzi, Flavio Bucci, Giulio Brogi, Oreste Lionello, Orso Maria Guerrini, Paola Pitagora, Elisabetta Gardini, Massimo Piparo, Paola Gassman, Ugo Pagliai, Giorgio Albertazzi, Massimo Venturiello, Ferruccio Ferrante, Mascia Musy, Enrico Montesano, Stefano Masciarelli, Vanessa Gravina, Pino Caruso, Ninni Salerno, Camillo Grassi, Deborah Caprioglio, Ficarra e Picone, Caterina Vertova, Nathalie Caldonazzo, Pamela Villoresi, Enrico Guarneri, Lia Tanzi, Anna Teresa Rossini, Salvo Randone, Paola Borboni, Luciana Savignano e Lello Arena. Di parecchi di questi attori conservo ricordi personali vuoi per averci lavorato insieme, vuoi per averli intervistati.
Ma ovviamente grande spazio hanno anche gli autori, quali Euripide, Sofocle, Goldoni, Pirandello, Garcia Lorca, Plauto, Aristofane, Shakespeare, Verga, Cervantes, Pound, Metastasio, Corneille, Seneca, Pasolini, D’Annunzio, D’Arrigo, Terenzio, Ponz de Leon, Beniamino Joppolo come detto (qui ricordiamo il suo “I Carabinieri”), Anhouil, Scarpetta, Albertazzi, Baricco e tanti altri.
Non può mancare inoltre la musica, con varie orchestre sinfoniche, fra le quali menziono qui l’Orchestra Sinfonica Siciliana, e ancora, la nostra Gilda Buttà dal 78 e poi nel 95 con Ennio Morricone e nel 99 con Luca Pincini (dopo il 2009 si è esibita ancora a Tindari ma, ovviamente, il testo non può riportarlo), Severino Gazzelloni, Katia Ricciarelli, Astor Piazzolla e Milva, Toquinho, Milici, Lucio Dalla, Gino Paoli e tanti altri.
Tanta danza inoltre che Nasca puntualmente passa in rassegna; qui ricordiamo solo alcuni grandi nomi che hanno lasciato segni profondi quali Liliana Cosi e Marinel Stefanescu, Margherita Parrilla, Joseph Russillo e Raffaele Paganii.
L’ultima sezione è infine dedicata al Tindari Teatro Giovani per il quale, con il Liceo Classico e Scientifico “Vittorio Emanuele III”, ha recitato anche il nostro Sebastian Recupero in “Sogno di una notte di mezza estate” 2006) e in “Antigone”, nel ruolo di Tiresia (2007).
L’insieme che viene fuori da queste pagine è uno spaccato vivissimo ed emozionante di società colta in divenire in tutti i suoi strati; sì, perché non vi sono solo le cronache della intellighenzia pattese e delle élite del teatro, ma anche quelle degli operai e degli artigiani (questo è il caso, ad esempio, di Gianni La Rosa, giovanissimo tecnico del quartiere San Michele, del quale ci viene narrata l’impresa – in forma di volontariato – della realizzazione artigianale dell’impianto fonico e di luci per l’Aiace di Stilo), dei funzionari, dei costumisti, delle comparse (spesso locali).
Sfortuna vuole che questa preziosa disamina sia stata scritta l’anno prima dell’avvio di nuovi fermenti (2010, con la vicenda del cineteatro comunale) che, partendo dalle nuove generazioni e proprio dal teatro, accenderanno nuovi ed infuocati dibattiti ed investiranno l’intera società pattese e, naturalmente, si rifletteranno anche sul teatro di Tindari, con una nuova direzione artistica e, per alcuni anni, un nuovo slancio. Sono certo comunque che l’autore riprenderà in mano l’opera per arricchirla ulteriormente ed integrarla.
Come dicevo, Filippo Nasca rievoca i momenti belli e quelli meno belli della storia del teatro tindaritano e rende perfettamente il senso di precarietà della sua nuova vita, legate alle volubili volontà degli assessori regionali, della sovrintendenza e di altri enti, oltre che per la presentazione spesso in ritardo e all’ultimo momento dei cartelloni. Approfitto dell’occasione offertami da questo testo per comunicarvi le ultime novità sulla maledizione della precarietà cui sembra destinato il teatro di Tindari; pare infatti che la stagione estiva prossima ventura (Estate 2015) sia a rischio per le richieste dei Vigili del Fuoco al Comune di installare un impianto antincendio a suo carico e della Sovrintendenza – sempre al Comune – di prendersi in carico la pulizia giornaliera dell’area.

Sebastian Recupero in “Sogno di una notte di mezza estate” (2006)

0Shares

, , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , ,

Share